domenica 24 Novembre 2024

“La Pillola” post Casertana🆚Potenza

DI ALFONSO PECORARO

La reazione c’è stata. Marchionni chiedeva al Potenza Calcio Official di resettare e a Caserta è stato così. Il rammarico è per il gol di Armini, apparso regolare a tutti, e per quel fuorigioco chiamato a Caturano nell’ultima azione del primo tempo, che poteva chiudersi con un punteggio diverso rispetto allo 0-0, poi determinatosi. Mi è piaciuto l’atteggiamento anche della prima parte di gara, quando ovviamente toccava ai campani fare la partita e al Potenza di impedire di fargliela fare. E la missione si è chiusa positivamente. La ripresa è stata di personalità, agevolata dal fatto che Schiattarella è stato cercato dai compagni ed ha diretto le operazioni salendo in cattedra da professore. Il Potenza avrebbe meritato il vantaggio e, al tirar delle somme complessive, anche di vincere. Prova del riscatto superata, quindi, ma piedi per terra: di punti da fare ne servono almeno altri 12, ma occorre soprattutto la continuità dei risultati, come ha dimostrato quel periodo di cinque gare in cui la classifica è stata risalita di prepotenza. Ed ora passare indenni anche lo scoglio di Teramo, col Monterosi, potrebbe essere un altro segnale importante.

Piuttosto la mia analisi va oltre il terreno di gioco, pur sapendo benissimo che i risultati del campo cambiano comunque l’umore di tutti. Ogni squadra deve avere tempo per crescere e migliorarsi nel corso di una stagione, contestualmente ogni tifoso viscerale deve avere la pazienza di attendere che questo tempo sia concesso anche alla società, specie se essa si affaccia per la prima volta in un ambiente del tutto nuovo, che sta imparando a conoscere con tutte le sue dinamiche (tante volte, se non sempre, più passionali che razionali). Qualsiasi operazione o scelta va condannata o non perdonata se fatta in malafede o, meglio, a tradimento di una fede. Nel caso del Potenza si può parlare di tutto, tranne che del fatto che ci sia stato dolo. Le intenzioni che la famiglia Macchia hanno per questi colori mi paiono chiare, ma andranno perfezionate, limate, corrette in qualche rappresentazione. Ma non culliamoci dietro il fatto che la nostra sia una piazza perfetta che non può permettersi di giustificare l’errore di nessuno, perchè di errori non ne fa.

Questa piazza ha accolto Macchia con diffidenza, specie dopo aver interrotto brutalmente il rapporto con i potentini, gli ha contestato le scelte tecniche, gli ha creato un clima non certo unito e compatto fin dai primi giorni. L’evidente divisione all’interno della tifoseria, proprio in virtù di quello che la società sta facendo (o ha fatto) e per come lo sta facendo (o lo ha fatto), non agevola la crescita. Si sono create due fazioni e il patron, come è naturale che sia, sta dalla parte di chi è con lui. E quasi a mo’ di sfida pensa di poter far passare il concetto di non aver bisogno di tutti quelli che non sono dalla sua parte.

Ma non va bene perché qui non si è in una sfida, non c’è nessuno da battere. Qui si perde solo di vista il bene che dovrebbe accomunare tutti: solo ed esclusivamente il Potenza e il suo futuro. L’esame più grande da superare – per darsi una speranza di continuità societaria in un tempo medio lungo – è proprio questo. E solo quando Potenza tornerà ad essere unita e compatta a rappresentare un’unica entità, un blocco granitico, come d’altronde è stato dimostrato di saper fare in passato (quando i risultati sono arrivati e squadra e società erano un uno con la città), allora sì che potremmo dire tutti insieme “noi siamo potenza”.

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DI ALFONSO PECORARO

La reazione c’è stata. Marchionni chiedeva al Potenza Calcio Official di resettare e a Caserta è stato così. Il rammarico è per il gol di Armini, apparso regolare a tutti, e per quel fuorigioco chiamato a Caturano nell’ultima azione del primo tempo, che poteva chiudersi con un punteggio diverso rispetto allo 0-0, poi determinatosi. Mi è piaciuto l’atteggiamento anche della prima parte di gara, quando ovviamente toccava ai campani fare la partita e al Potenza di impedire di fargliela fare. E la missione si è chiusa positivamente. La ripresa è stata di personalità, agevolata dal fatto che Schiattarella è stato cercato dai compagni ed ha diretto le operazioni salendo in cattedra da professore. Il Potenza avrebbe meritato il vantaggio e, al tirar delle somme complessive, anche di vincere. Prova del riscatto superata, quindi, ma piedi per terra: di punti da fare ne servono almeno altri 12, ma occorre soprattutto la continuità dei risultati, come ha dimostrato quel periodo di cinque gare in cui la classifica è stata risalita di prepotenza. Ed ora passare indenni anche lo scoglio di Teramo, col Monterosi, potrebbe essere un altro segnale importante.

Piuttosto la mia analisi va oltre il terreno di gioco, pur sapendo benissimo che i risultati del campo cambiano comunque l’umore di tutti. Ogni squadra deve avere tempo per crescere e migliorarsi nel corso di una stagione, contestualmente ogni tifoso viscerale deve avere la pazienza di attendere che questo tempo sia concesso anche alla società, specie se essa si affaccia per la prima volta in un ambiente del tutto nuovo, che sta imparando a conoscere con tutte le sue dinamiche (tante volte, se non sempre, più passionali che razionali). Qualsiasi operazione o scelta va condannata o non perdonata se fatta in malafede o, meglio, a tradimento di una fede. Nel caso del Potenza si può parlare di tutto, tranne che del fatto che ci sia stato dolo. Le intenzioni che la famiglia Macchia hanno per questi colori mi paiono chiare, ma andranno perfezionate, limate, corrette in qualche rappresentazione. Ma non culliamoci dietro il fatto che la nostra sia una piazza perfetta che non può permettersi di giustificare l’errore di nessuno, perchè di errori non ne fa.

Questa piazza ha accolto Macchia con diffidenza, specie dopo aver interrotto brutalmente il rapporto con i potentini, gli ha contestato le scelte tecniche, gli ha creato un clima non certo unito e compatto fin dai primi giorni. L’evidente divisione all’interno della tifoseria, proprio in virtù di quello che la società sta facendo (o ha fatto) e per come lo sta facendo (o lo ha fatto), non agevola la crescita. Si sono create due fazioni e il patron, come è naturale che sia, sta dalla parte di chi è con lui. E quasi a mo’ di sfida pensa di poter far passare il concetto di non aver bisogno di tutti quelli che non sono dalla sua parte.

Ma non va bene perché qui non si è in una sfida, non c’è nessuno da battere. Qui si perde solo di vista il bene che dovrebbe accomunare tutti: solo ed esclusivamente il Potenza e il suo futuro. L’esame più grande da superare – per darsi una speranza di continuità societaria in un tempo medio lungo – è proprio questo. E solo quando Potenza tornerà ad essere unita e compatta a rappresentare un’unica entità, un blocco granitico, come d’altronde è stato dimostrato di saper fare in passato (quando i risultati sono arrivati e squadra e società erano un uno con la città), allora sì che potremmo dire tutti insieme “noi siamo potenza”.

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Piuttosto la mia analisi va oltre il terreno di gioco, pur sapendo benissimo che i risultati del campo cambiano comunque l’umore di tutti. Ogni squadra deve avere tempo per crescere e migliorarsi nel corso di una stagione, contestualmente ogni tifoso viscerale deve avere la pazienza di attendere che questo tempo sia concesso anche alla società, specie se essa si affaccia per la prima volta in un ambiente del tutto nuovo, che sta imparando a conoscere con tutte le sue dinamiche (tante volte, se non sempre, più passionali che razionali). Qualsiasi operazione o scelta va condannata o non perdonata se fatta in malafede o, meglio, a tradimento di una fede. Nel caso del Potenza si può parlare di tutto, tranne che del fatto che ci sia stato dolo. Le intenzioni che la famiglia Macchia hanno per questi colori mi paiono chiare, ma andranno perfezionate, limate, corrette in qualche rappresentazione. Ma non culliamoci dietro il fatto che la nostra sia una piazza perfetta che non può permettersi di giustificare l’errore di nessuno, perchè di errori non ne fa.

Questa piazza ha accolto Macchia con diffidenza, specie dopo aver interrotto brutalmente il rapporto con i potentini, gli ha contestato le scelte tecniche, gli ha creato un clima non certo unito e compatto fin dai primi giorni. L’evidente divisione all’interno della tifoseria, proprio in virtù di quello che la società sta facendo (o ha fatto) e per come lo sta facendo (o lo ha fatto), non agevola la crescita. Si sono create due fazioni e il patron, come è naturale che sia, sta dalla parte di chi è con lui. E quasi a mo’ di sfida pensa di poter far passare il concetto di non aver bisogno di tutti quelli che non sono dalla sua parte.

Ma non va bene perché qui non si è in una sfida, non c’è nessuno da battere. Qui si perde solo di vista il bene che dovrebbe accomunare tutti: solo ed esclusivamente il Potenza e il suo futuro. L’esame più grande da superare – per darsi una speranza di continuità societaria in un tempo medio lungo – è proprio questo. E solo quando Potenza tornerà ad essere unita e compatta a rappresentare un’unica entità, un blocco granitico, come d’altronde è stato dimostrato di saper fare in passato (quando i risultati sono arrivati e squadra e società erano un uno con la città), allora sì che potremmo dire tutti insieme “noi siamo potenza”.

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